Gli antichissimi popoli del Mediterraneo, la cui vita era legata al mare, producevano un tessuto dorato raccolto dal mare, oggetto di innumerevoli miti e leggende:
il bisso
UN PO’ DI STORIA:
Gli industriosi Cretesi, i provetti commercianti Fenici, i raffinatissimi tessitori e tintori Caldei e gli Egizi, furono i maggiori protagonisti della millenaria storia del bisso.
Anche Jules Verne, uno dei padri della moderna fantascienza, rimase particolarmente colpito dal suo fascino: in “Ventimila leghe sotto i mari” fece pronunciare al suo capitano Nemo le parole:
“Gli abiti che lei indossa sono tessuti di filo di bisso di certe conchiglie e poi tinte in antica porpora”.
Il bisso marino è una sostanza prodotta da una conchiglia, la nacchera (Pinna nobilis), la più grande conchiglia del Mediterraneo. Si tratta di un ciuffo di lunghi filamenti simili alla seta con i quali l’animale si ancora al fondale e che un tempo venivano raccolti insieme alla conchiglia per produrre la “seta di mare”.
La produzione del bisso è laboriosa e richiede molte tappe di lavorazione. Dopo la raccolta deve essere pulito e pettinato più volte, messo in ammollo in succo di limone e infine filato a mano.
La lavorazione più diffusa era quella a maglia per realizzare indumenti come scialli, guanti, cappelli, ghette, cravatte ecc. Ma i fili venivano anche tessuti, intessuti o ricamati su stoffe oppure lavorati in modo particolare per formare una sorta di pelliccia.
I centri più importanti della raccolta e della lavorazione del bisso si trovavano nell’Italia meridionale, soprattutto in Sardegna e nelle Puglie.
Questi manufatti avevano degli splendidi riflessi dorati e fin dall’antichità erano quindi molto ricercati soprattutto dalla nobiltà e dall’alto clero. Nel XIX secolo i prodotti in bisso non potevano mancare alle più prestigiose esposizioni commerciali – come le esposizioni universali di Parigi, di Londra di Vienna – dove venivano venditi a prezzi elevatissimi e dove un tessuto in bisso marino poteva costare 100 volte tanto quanto un tessuto in lana. Per ottenere 1 kg di bisso grezzo e produrre così 200-300 grammi di seta di bisso marino, occorrono infatti fino a 1’000 conchiglie: lusso assoluto .
La produzione è andata definitivamente scemando all’inizio del 20° secolo. La raccolta difficoltosa, il ricavato scarso e il processo di lavorazione lungo e impegnativo, la concorrenza della seta ed in ultimo l’avvento dei nuovi materiali sintetici, in particolare il nylon, dopo la Seconda guerra mondiale hannoi fatto sì che quasi nessuno parla più di bisso marino.
Datare e localizzare la produzione del bisso marino è quasi impossibile, anche perché nell’antichità con il termine “bisso” si indicavano tessuti pregiati diversi (seta, cotone, lino), ma con certezza la produzione avveniva già almeno in epoca romana.
Tuttavia, nonostante la cospicua produzione manifatturiera del passato, solo pochissimi oggetti sono sopravvissuti fino ai giorni nostri, tanto che se ne contano meno di un centinaio sparsi nelle collezioni di tutto il mondo. Il più antico è un cappuccio lavorato a maglia del XIV secolo, ritrovato durante degli scavi archeologici presso la basilica di Saint-Denis, vicino a Parigi.
La maggior parte degli oggetti proviene da collezioni di storia naturale.
I naturalisti del Settecento e dell’Ottocento – che con le loro raccolte crearono i primi “gabinetti di scienze naturali” – da cui nacquero poi molti degli odierni musei di storia naturale – collezionavano insieme alle conchiglie anche i loro prodotti, com’era uso a quei tempi.
E OGGI ?
Sul bisso è tuttora in corso una ricerca del Museo di Basilea che mira a ricostruire la storia del bisso e ad inventariare gli oggetti ancora presenti.
Se molti oggetti sono andati perduti, fortunatamente le conoscenze sulla lavorazione del bisso non sono ancora del tutto scomparse, a Taranto in Puglia e soprattutto a Sant’Antioco in Sardegna e, dove l’interesse per questa tradizione artigianale e patrimonio culturale è andato anzi crescendo negli ultimi anni.
Di recente è stato pubblicato un libro dedicato a Chiara Vigo e all’Arte della lavorazione del bisso, lo ha scritto Susanna Lavazza, il libro è intitolato “Dal buio alla luce, il bisso marino e Chiara Vigo”
I segreti riguardanti la produzione di questo filato sono tanti, e non tutti si conoscono, Chiara Vigo, donna di S. Antioco, unico Maestro al mondo ancora in grado di lavorarlo; dopo l’immersione nei fondali porta in superficie esigue quantità di bioccoli, e conserva gelosamente i segreti che a sua volta le sono stati trasmessi dalla nonna materna Leonilde, alla quale ha dovuto giurare, secondo la consuetudine, che non avrebbe mai lucrato attraverso la lavorazione del filato di bisso. E infatti tiene a precisare che ‘il bisso non si compra e non si vende’, è patrimonio di tutti, e deve essere pertanto reso disponibile a tutti, soprattutto a coloro che si avvicinano con rispetto a lei per andare oltre il mistero di questa fibra in apparenza così fragile e invece tanto tenace, come del resto lo è il carattere del Maestro.
Il Maestro Chiara Vigo, ha un carisma veramente speciale, quelli che l’hanno incontrata non possono sottrarsi all’aura magica che viene dalla sua persona, e nelle parole e i gesti, c’è qualcosa che va oltre il particolarissimo ‘mestiere’, si avvertono atmosfere indefinibili nel suo sguardo, come se portasse con sé l’alito di un tempo lontano, con i suoi misteri e le sue consuetudini. Misteriosi sono anche i canti che rivolge al mare ogni mattina all’alba, e le parole del giuramento che la nonna Leonilde le fece pronunciare, antico rituale e ‘passaggio’ generazionale dei segreti del bisso, dove il rispetto e l’etica legata al possesso dei manufatti, sono severissimi, queste le parole del giuramento: